Nel nucleo antico di Solcio “paesello careggiato dall’aure più tepide e tranquille, in fondo a piccolo golfo, festoso di belle case, di giardini e frutteti”, come scrive poeticamente il Boniforti nel 1892, spicca sull’antica Strada Regina, appena dietro la neoclassica Chiesa Parrocchiale innalzata su progetto di Bartolomeo Franzosini, la Casa Leber.

Si tratta di un edificio a pianta articolata, di origine settecentesca, come prova anche la data 1766 incisa sulla chiave di volta del portale d’ingresso.

Il fatto distintivo dell’edificio, che ha davanti un giardino digradante a spalti, è la decorazione pittorica che incornicia quasi tutte le aperture, fingendo cornici, parapetti e modanature d’impronta barocca: è un caso unico, sul Lago Maggiore, mentre non è infrequente sul Lago d’Orta e nell’Ossola. D’altra parte non bisogna dimenticare che i Leber, due alti ufficiali nell’esercito sabaudo, erano originari della Svizzera, dove la tradizione della facciata dipinta era particolarmente sentita.

Questa scenografica villa d’entroterra, chiamata in origine “Bovera” dal nome del torrente che le scende a fianco, è stata recentemente attribuita all’architetto Pietro Bottini che la costruisce per il commendator Boschi tra il 1863 e il 1866, mentre segue i lavori della confinante Villa Sozzani, dello stesso periodo, facilmente riconoscibile per le forme neo-castellane. La figlia del commendator Boschi, Luigia Boschi, sposa Gaspare Cavallini nel 1848 il quale compra nel 1868 Villa Minetti, chiamata poi Villa Cavallini.

Nel 1906 l’ing. Adriano Cuneo, lo stesso delle ville Tadini e Tassara, la riconduce alle forme attuali.

A tre piani fuori terra, purtroppo in abbandono da tanti anni, sta su un terrazzo panoramico cui si accede da una scalinata a doppia rampa da dove, oltre i tetti del centro abitato di Lesa, si gode un ampio panorama sul lago.

L’edificio, dalle facciate interamente dipinte con riquadrature, ghirlande e decorazioni floreali, presenta un disegno classico influenzato da motivi tipici dello chalet, quali il frontone triangolare e la colorazione forte dei fronti richiamata anche dai pilastri del cancello d’ingresso sul viale in asse che viene dalla strada statale del Sempione.
Il disegno compositivo, allineato sull’asse viale/villa, fu negato quasi subito dal passaggio sulla proprietà della ferrovia del Sempione che la attraversa ortogonalmente, interrompendo la ricercata prospettiva d’ingresso alla villa. Resta ancora intatto il lungo viale, oggi Viale Riva, inusuale per i ristretti ambiti di Lago. A lato della villa una magnolia, già segnalata dal Boniforti nel 1870, la sovrasta per dimensione e imponenza.

La villa, adiacente alle vecchie case della frazione Villa di Lesa all’inizio della strada che conduce alle frazioni di Calogna e Comnago, è preceduta da un grande parco all’inglese disposto in dolce pendio lungo la collina. Il raccordo con le case della frazione e con altri edifici contigui conferisce a questa villa un assetto ambientale diverso dal consueto isolamento nel parco.

Venne acquistata nel 1870 da Baldassarre Verazzi, noto pittore originario di Caprezzo, che ancor giovane si trasferì in Sud America dove ottenne un notevole successo dipingendo i ritratti di importanti personalità locali.

Tornato in Italia decise di vivere a Lesa e dopo avere acquistato la proprietà in località Villa Lesa la sottopose a importanti lavori di ristrutturazione che, oltre alla villa, riguardarono il parco che, fino agli anni 30, venne considerato uno dei più belli della zona.

Alla morte di Baldassarre il figlio Serafino, anch’egli pittore affermato, ereditò la proprietà e ne trasformò una parte, conosciuta come “ casa del giardiniere” (la costruzione visibile dalla strada, caratterizzata da una torretta), in albergo con il nome di Villa Aranci affidandone la gestione alla moglie Ada.

La villa vera e propria, celata alla vista di coloro che passano lungo la strada che fiancheggia il parco, è una costruzione ottocentesca di fattura abbastanza semplice ma impreziosita da colonne e marmi all’esterno e da un’ampia terrazza, affacciata sul parco sottostante, delimitata da parapetto con statue.

Negli anni venti lo scultore peruviano Edmundo Prati fece visita a Serafino Verazzi e lasciò scritta la seguente descrizione: “ La casa è edificata su un declivio che guarda direttamente il lago, circondata da un bel parco, di fronte al giardino ricco di piante esotiche mentre all’interno sono presenti molti quadri e ricordi del periodo sud americano di Baldassarre Verazzi”.

Edificata nel 1952-1953 su progetto dell’Arch. Ignazio Gardella, questa villa rappresenta un inconsapevole, per l’epoca, esempio di architettura fluida dove il contesto naturale, rappresentato dal declivio verso il lago e dal terreno ondulato, unito alla grande libertà progettuale danno vita ad una costruzione articolata su tre differenti livelli, armonizzata da un grande tetto a quota unificata che coordina i movimenti degli ambienti e dei paesaggi.

La libera articolazione in pianta della costruzione e il ben calcolato taglio degli spazi contribuiscono, attraverso orientamenti mirati, alla sorpresa di molteplici visuali inattese del lago. Un corpo centrale arretrato fa da perno e origina due corpi laterali dalle funzioni nettamente definite, a destra si distribuisce la zona notte al primo piano; a sinistra, su un piano sfalsato, la zona giorno e dall’ampio atrio si arriva subito con lo sguardo al di là, verso il lago e le colline inquadrate dalla grande porta-finestra sul fronte posteriore.

La sistemazione del giardino è stata ideata e curata da Ignazio Vigoni. La vista aperta verso il lago e limitata sui lati da vecchi alberi è stata volutamente lasciata libera, dando vita ad un manto erboso morbido in grado di raccordarne i livelli e valorizzarne il declivio verso il lago.

La Villa riveste un ruolo significativo nell’ambito dell’evoluzione del tipo edilizio di pertinenza, offre un’interpretazione progressiva attraverso la sperimentazione e l’innovazione delle caratteristiche distributive e funzionali.

Costruita negli anni ’30, la villa della contessa Evelina Casalini si presenta come un’interpretazione novecentesca del tradizionale modello di dimora signorile sul lago, peraltro in continuità paesaggistica in questa zona fitta di ville storiche. Singolare il fatto che il suo autore non sia un architetto bensì lo scultore Franco Lombardi a cui fu affidata la progettazione sia dell’esterno che dell’interno.

L’edificio presenta una pianta a blocco di forma quasi quadrata. Ripropone i medesimi principi di assialità e simmetria che caratterizzavano la villa ottocentesca sull’asse prospettico edificio, giardino, lago.

La facciata verso il lago, infatti, oltre ad essere impostata su una rigorosa simmetria, si protende al piano terreno verso il giardino con una scalinata racchiusa da due esedre, mentre al primo piano introduce un’ampia finestratura che ricorda molto i loggiati del 1800.

Le prime tracce ritrovate della Villa risalgono al Catasto Teresiano del 1722, in cui è indicato un “sito di casa” con terreno circostante e vigneto, di proprietà degli eredi di Don Bartolomeo Carbonara, di origine genovese; il Carbonara fu Colonnello dell’Armata Spagnola, Mastro di Campo e Governatore di Arona.

Nel 1807 la Villa era già una residenza di villeggiatura della nobile famiglia milanese dei Pirovano, ed era così descritta: “edificata in tre corpi contigui di cui uno più nobile, l’altro rustico e un corpo a galleria che li congiunge, e un giardino all’italiana con importante scalinata che scende a Lago”. In una incisione dei coniugi Federico e Carolina LOSE del1816, la villa era rappresentata dalla dicitura “Solcetto Pirovano”; ed è infatti ad Antonio Maria Pirovano che si deve la costruzione di “un comodo viale per carrozze che dalla Via Napoleonica del Sempione giunge direttamente in Villa”.

Pochi anni dopo nel 1822, Giovanni Antonio Pirovano vendeva a Bernardino Minetti il “Tenimento di Solcetto”; i Minetti erano imprenditori nel ramo delle cristallerie in Portovaltravaglia e a Crevoladossola, istituirono nel Solcietto la propria casa di villeggiatura fino al 1868 anno in cui alla morte del capostipite, gli eredi vendettero l’intera tenuta a Luigia Boschi moglie del senatore Gaspare Cavallini.

Donna Luigia Boschi era già di casa a Lesa, infatti la famiglia paterna di origine novarese era solita risiedere in villeggiatura in Villa Bovera (oggi Villa Alice), aveva sposato il Senatore Gaspare Cavallini nel 1848. I Cavallini erano una famiglia di proprietari terrieri del pavese e possedevano ingenti tenute risicole in Lomellina. Gaspare laureatosi in legge a Torino, venne nominato nel 1873 Senatore e trasferì in Villa a Solcio la sua casa di rappresentanza e successivamente definitiva residenza.

I coniugi Cavallini ebbero 3 figli:

• Filippo avvocato ed imprenditore, seguì come il Padre la carriera politica che tuttavia lo portò lontano dalle sponde lacustri;

• Emilio anch’egli Avvocato ma dedito alla gestione dei patrimoni immobiliari di famiglia, a cui si devono le continue migliorie, ristrutturazioni ed ampliamenti della tenuta in Solcio, nonché la scoperta delle Fonti di Bognanco;

• Adelaide – moglie del Senatore Piero Lucca – a cui si deve la donazione al Comune di Lesa della villa e del Parco monumentale, con la volontà di istituirvi una “Scuola agraria di Frutti-floricoltura”.

La villa si compone di un sistema architettonico e paesaggistico affacciato con posizione dominate alla sponda piemontese del lago maggiore; è composta da tre corpi di fabbrica di cui uno più antico settecentesco in accesso dal lago mediante un’imponente scalinata che attraversa il digradante e terrazzato “giardino all’italiana”, un tempo punteggiato da fontane zampillanti.

Dispone di un parco monumentale progettato nei primi dell’ ‘800 a foggia di “giardino all’inglese”, solcato da un ampio viale alberato carrabile, che consentiva alle carrozze l’accesso diretto dalla Strada Napolenica del Sempione alla quota terrazzata dei fabbricati.

La villa fu sede di un’importante allevamento di “Piccoli levrieri italiani”, qui fu selezionata la razza e l’allevamento venne ospitato sino alla morte di Adelaide; il giardino pianeggiante posteriore alla villa, ospita ancora il “cimitero dei levrieri” con tanto di lapidi descrittive degli esemplari che qui furono selezionati, nacquero e vissero sotto le attenti cure di Emilio ed Adelaide Cavallini.

Dal 1944 la Villa ed il Parco sono divenuti – per generosa volontà testamentaria di Adelaide – proprietà del Comune di Lesa, con indicazione di istituirvi sede dell’ “Istituto Professionale Agrario Emilio e Gaspare Cavallini.

Realizzata sul finire del XIX secolo, questa villa, ripropone in toto tutti gli elementi dell’architettura neoclassica. L’impianto planimetrico è costituito da un corpo quadrangolare da cui fuoriesce un portico semicircolare posto al centro del prospetto a lago. L’edificio si eleva per tre piani fuori terra. poggianti sul piano di calpestio del giardino. L’imponenza del fronte e il leggero declivio del terreno antistante contribuiscono alla spettacolare vista della costruzione che si ha dal lago. Il piano terreno si differenzia dai superiori soprattutto per la presenza del porticato semicircolare, sostenuto da colonne con capitello jonico, che delimita il centro della facciata tripartita. Un’elegante cornice marcapiano separa il piano terreno dal primo dove, in asse con le aperture sottostanti, si inseriscono le aperture che illuminano gli ambienti interni. Da questo livello, la tripartizione della facciata è sottolineata dalla presenza di lesene scanalate coronata da capitelli ionici. Le fasce orizzontali sono rimarcate dalla presenza di eleganti balaustre che corrono lungo i profili del terrazzo che copre il porticato, al primo piano, e della balconata, al secondo piano. Il cornicione della copertura terrazzata è protetta da un’ulteriore balaustra su cui troneggiano statue classicheggianti. Nel complesso, la fitta finestratura affacciata su terrazzi e balconi si propone lo scopo do godere appieno della quantità di luce e del panorama.

La villa a due piani fuori terra viene costruita nella seconda metà dell’800 dalla famiglia Davicini, originaria di Torino, al confine con villa Noseda. Disegnata da Defendente Vanini, con classica tipologia a blocco, sorge a breve distanza dalla riva verso la quale mostra una facciata dalle linee classicheggianti, caratterizzata dalla presenza di finestre dai timpani curvilinei al piano terreno e rettilinei al primo piano.

Divenne la dimora prediletta di Carlo Davicini, grande benefattore di Lesa, a cui il Comune ha dedicato una via che costeggia appunto la sua proprietà, un tempo vastissima.

All’interno del parco, a cui si accede da un imponente ingresso che si apre sulla strada del Sempione, vi sono altri edifici, un tempo destinati alla portineria e all’abitazione dei massari, oltre che a scuderie. Il giardino, suddiviso in aree a diversa destinazione, ha una parte più formale dietro la casa, con gruppi di cipressi che contribuiscono a incorniciare il fronte architettonico della villa.

Vila Florio viene realizzata nella prima metà del XIX secolo dall’ing. Viotti in forme castellane. Il canonico Luigi Boniforti, nella sua guida del 1857 “Il Lago Maggiore e dintorni”, descrivendo Solcio scrive che “…sul lembo dell’strema lingua di terra, che lo protegge dai venti settentrionali, siede e torreggia, con forma d’antico castello, un ampio e moderno fabbricato, chiuso entro ampio e quadrato recinto, che l’ing. Viotti ha voluto ivi costrurre, quasi a restituire l’immagine degli antichi castelli di Lesa, di cui a breve distanza trovasi le ruine…”.

Nel 1870, nella terza edizione della sua guida, il Boniforti ci informa che il castello “…è di proprietà del capitano Felice De Meiller, che lo instaurò e lo abbellì di ricche piantagioni, ed estese praterie e frutteti, coltivati con molto studio ed amore…”. Una volta completato, l’edificio diventa la dimora dove vive abitualmente con la moglie, l’inglese Anna Wright, e dove, si dice, hanno luogo incontri importanti. Sicuramente, nel castello viene ospitato Giuseppe Garibaldi, amico personale del proprietario, per due volte, il 16 giugno 1862 e il 5 settembre 1867, di ritorno dalla visita ad Adelaide Bono Cairoli a Belgirate.

Nel 1892, viene segnalato un nuovo passaggio di proprietà della tenuta; il “vasto edifizio” era divenuto di proprietà del “distinto agronomo cav. G. Canti che ampliò e seppe rendere più variamente fruttifero il già ricco podere.”

Nel 1924 la proprietà passa alla famiglia Florio, importatori di carbone dal Sud Africa e dalla Russia. Subito vengono intrapresi lavori di trasformazione e ammodernamento dello stabile che, dal punto di vista dell’impianto architettonico, consistono principalmente nella realizzazione della galleria con esedra centrale che unisce il corpo abitativo alla torretta e nella modifica di pochi altri elementi.

Questa costruzione emana ancora un fascino antico: il suo impianto architettonico venne realizzato nel pieno rispetto dei dettami delle costruzioni medievali, caratterizzate da una semplice planimetria con corte centrale.

Villa Noseda sorge all’esterno dell’antico centro di Lesa, sull’ampia lingua di terra che si estende a valle della strada del Sempione, zona ideale per la costruzione di residenze da villeggiatura. La villa, diventata proprietà Noseda nel 1871, venne sistemata ampliando una preesistente costruzione settecentesca. Per questi lavori fu chiamato l’architetto Defendente Vanini, professionista molto attivo sulla sponda del lago, al quale si può far risalire l’introduzione, sulla facciata a lago, del caratteristico motivo dell’attico centrale.

In ossequio alla sua antichità, presenta un impianto simmetrico sia nella pianta che nelle facciate regolari di gusto neoclassico, con bugnati d’angolo, arcate sui corpi laterali, balcone centrale al primo piano e lunette sfondate sopra le finestre. La villa sorge isolata nel mezzo di un vasto parco secolare. Un alto muro in pietra, con balaustra di coronamento a semicerchio, incornicia, sul margine a lago, il parco che presenta un notevole numero di piante disposte ai lati dell’edificio per non compromettere il panorama verso il lago.

Vista la sua architettura austera ma velata d un tocco di romanticismo, nel 1974 ospitò alcune parti dello sceneggiato RAI “Malombra”, tratto dal romanzo di Fogazzaro, con Marina Malfatti e Giulio Bosetti.

Importante esempio di stile neoclassico, è caratterizzata dal frontale di colorazione chiara, realizzato con intenti neopalladiani, e dal portico dalle fogge di tempio greco, sostenuto da quattro colonne di ordine dorico, verso il giardino. Dalla villa si protende verso il lago una  doppia scalinata che ne raffora l’immagine classica.

Assieme alle ville Soldini e Casalini forma una consistente e bella fascia di verde tra le rovine del Castellaccio e il santuario della Madonna di Campagna, fascia che subito dopo si ricongiunge con quella delle ville Baletti e Davicini fino a sfociare sulla strada del Sempione.   

Venne commissionata negli anni 20 dal Senatore Ercole Varzi, importante industriale tessile di Galliate, all’Arch. Tommaso Buzzi, progettista di chiara fama ricercato dalla ricca borghesia imprenditoriale del nord Italia.

Tra i suoi progetti più noti citiamo la sistemazione degli esterni e gli arredi di villa Necchi Campiglio a Milano e la “Scarzuola” in Umbria dove il Buzzi espresse la sua interpretazione della “città ideale”.

Successivamente la villa divenne proprietà della famiglia Orsi-Mangelli, titolare della Scuderia Dormello-Olgiata dove nacque Ribot, uno dei cavalli da corsa più vincenti sempre.

Inizialmente chiamata Villa Ronchi, già esistente nel 1890, doveva trattarsi di un edificio a tre piani di non grande rilevanza architettonica, con le due facciate principali rispettivamente verso la strada che portava al “Castellaccio” e verso il lago. Passata di proprietà alla famiglia Covi, venne ristrutturata all’interno e risistemata esternamente con un paramento ornamentale stilisticamente ibrido. Sulla facciata verso il lago fu posta, inoltre, un’ampia veranda di gusto liberty.

La villa, a tre piani, è a pianta rettangolare: la facciata verso strada è sforata da una serie continua di vetrate mentre quella verso il lago è caratterizzata dalla veranda di cui sopra, sormontata da un terrazzo assai spazioso che disimpegna gran parte del primo piano. La villa è collocata entro un parco ampio e ben tenuto, ricco di secolari alberature.

Due momenti della sua lunga storia.

Dal ’34 al ’37 fu la casa di Giulio Gatti-Casazza, figura di assoluto riferimento nello sviluppo storico della produzione operistica. Fu, infatti, sovrintendente del Teatro alla Scala (1898-1908) nei mitici anni della direzione artistica di Arturo Toscanini e poi, trasferitosi a New York con Toscanini, diventò direttore generale al Metropolitan sino al 1935, portandolo ad essere il più grande e ricco teatro d’opera al mondo.

Il grande navigatore solitario Giovanni Soldini, vincitore del giro del mondo a tappe “Around Alone” nel 1999, da ragazzo soleva passare le vacanze nella villa di Lesa, proprietà della nonna: sul nostro lago Giovanni imparò i primi rudimenti della navigazione a vela.

Questa singolare villa, edificata nel 1914/1915, sorge all’interno di un parco ricco di alberi pregevoli, quali canfore, cipressi, cedrus atlantica, magnolie e faggi. La sua architettura riecheggia lo stile degli chalet transalpini, ma ben si fonde nell’ambiente in cui sorge e con i modelli di villa sul lago nel tardo ‘800.

Le sue caratteristiche principali sono costituite dalla massiccia torre d’angolo con le sue trifore e i balconi pittoreschi, la balconata sporgente sul portico, che offre un belvedere sul panorama circostante, il cornicione di gronda, sostenuto da elaborate mensole a trina lignea,  il tetto, a forte pendenza, ricoperto in scandole di pietra. Al corpo principale è annessa anche una casa del custode affacciata sul Sempione.

La proprietà è passata negli anni ai Diana, ai Buzzi, ai Tadini e, per qualche tempo, fu utilizzata anche come albergo, denominato “Hotel Primavera”.

In questa villa, a quel tempo chiamata “Villa Piera” dal nome della moglie, Mario Tadini trovò sicuro rifugio alle tragedie della seconda guerra mondiale. Oggi è diventata una residenza plurifamiliare.

La darsena

Edificata nel 1912, è oggi di proprietà pubblica ma fa parte della storia di Villa Sourour. Caratterizzata da una struttura massiccia di aspetto solido, ha l’aspetto di una costruzione fortificata a pelo d’acqua, composta da grossi conci lapidei e coperta da un terrazzo panoramico a cui si accede dal Giardino dei Glicini attraverso una scala in pietra.

L’accesso delle imbarcazioni avviene lungo il lato corto rivolto a nord, con imboccatura ad arco, sostenuta da colonne svasate con capitello geometrico floreale, con chiave di volta a formella sagomata. L’accesso pedonale è garantito da un’arcata laterale a cui si accede per mezzo di una scala interrata nello spazio tra darsena e lato strada. L’interno, ampio e spazioso, è caratterizzato da una balconata perimetrale che aveva la funzione di approdo per le imbarcazioni, lineare e senza alcun parapetto.

Nel 2023, sulla base di uno Studio di Fattibilità Tecnica ed Economica del Comune di Lesa, il Ministero dei Beni Culturali ha deciso di dare corso ad un progetto di consolidamento e restauro conservativo della darsena per recuperarla all’uso pubblico come elemento trainante nel sistema organico costituito dal giardino dei Glicini, dalla darsena, dalla passeggiata verso Belgirate.

Edificata negli anni tra il ’63 e il ’71 del 1800 sul sito di un edificio preesistente, Villa Sozzani fu realizzata in forme castellane, una tipologia già adottata in diversi edifici dell’epoca, su disegno di Pietro Bottini, un architetto molto attivo sulla sponda piemontese del Lago Maggiore. Del tutto giustificato è, quindi, il mancato rispetto della simmetria, accentuato dalla presenza di un imponente corpo laterale che sovrasta in altezza quello centrale.

Il progetto, seguendo le mode dell’epoca, ricrea ambientazioni romantiche ad imitazione di edifici realizzati in tempi diversi. Piena dimostrazione che la realizzazione sia, invece, frutto di un unico progetto risulta dall’analisi di tutte le decorazioni architettoniche che adornano la costruzione ovvero le proporzioni relative alle aperture; le modanature che corrono lungo il profilo delle finestre; le cornici marcapiano; la merlatura che corona l’intero perimetro dell’edificio. Il suo grande parco all’inglese, ricco di conifere, sale con leggero declivio verso l’edificio ed è delimitato dai contigui parchi di Villa Conelli e Villa Alice. Degno di nota, in linea con il gusto romantico dell’epoca, è il muro di cinta situato nella parte retrostante della villa, costruito con materiale lapideo e recante sulla sommità una merlatura ghibellina e una snella torretta in cotto.

Storia

La villa, che ospita oggi un prestigioso ristorante, sede di eventi e matrimoni, è situata nell’antico borgo di Villa Lesa, amena frazione del comune di Lesa. Insieme alle vicine Villa Aranci, Villa Conelli e Villa Alice costituisce un complesso paesaggistico e naturalistico molto importante per il territorio.

La sua storia inizia con un atto notarile di passaggio di proprietà di due rustici dal dr. Luigi Prejalmini al comm. Francesco Guglianetti, deputato al Parlamento del Regno d’Italiae membro del Consiglio d’Amministrazione delle ferrovie dell’Alta Italia. Nel 1871 la villeggiatura viene affittata alla famiglia Savio. Sono documentati i passaggi di proprietà dalla nobile famiglia dei Savio di Bernstiel alla famiglia Sozzani e, successivamente, alla famiglia Tavella. In ogni caso, è difficile, mancando documentazione, ricostruire pienamente i trapassi di proprietà e i lavori che trasformarono la villa.

La villa, situata sul lungolago verso nord, oggi è sede di una banca.

Sorta alla fine del XVIII secolo, è una costruzione in stile neoclassico. Originariamente l’edificio si presentava con un impianto a U: le due ali laterali furono demolite nel 1806 per permettere la costruzione della statale del Sempione.

L’elegante dimora ospitò per molte stagioni Alessandro Manzoni che in seconde nozze aveva sposato Teresa Borri, vedova Stampa. Nell’interno del palazzo è stata allestita, in ricordo dell’illustre personaggio, la Sala Manzoniana, ove sono raccolti disegni, oggetti, manoscritti appartenuti allo scrittore e ai suoi amici che nel corso degli anni furono ospitati per periodi di villeggiatura.

A cura di Andrea Montano

Negli ultimi anni del secolo XVIII l’aristocrazia lombarda aveva già scoperto il lago Maggiore come luogo di villeggiatura lontano dalla confusione delle città, in un ambiente celebrato per la sua bellezza dai primi grandi viaggiatori romantici.

Nel giro di poco più di un secolo le prime lussuose residenze padronali, costruite accanto ai vecchi borghi e sui possedimenti familiari, furono seguite e affiancate da costruzioni altrettanto, se non più, sfarzose immerse e nascoste in grandi parchi all’inglese, e sempre meno legate alle coltivazioni agricole, a cui sottrassero progressivamente i terreni accuratamente conservati nei secoli per un’agricoltura altamente specializzata e redditizia.

La villa dei conti Stampa, ricca famiglia milanese che aveva ottenuto il suo titolo nel 1787, appartiene al primo tipo: sorgeva proprio al limite settentrionale del vecchio centro abitato, affacciata direttamente sul lago, proprio ai piedi della collina coperta di frutteti, vigne e uliveti.

Poco dopo il suo completamento la costruzione dello “stradone”, la strada napoleonica oggi diventa la statale del Sempione, provocò la demolizione quasi totale delle ali laterali, portando la facciata neoclassica dell’edificio principale quasi a filo della strada. Al di là di essa, e al disotto del suo livello rimase la darsena privata, ricordi dei tempi in cui il lago era normale via d’accesso.

Oggi l’edificio è quasi invariato nell’aspetto esterno, ma la sua posizione attuale piuttosto scomoda, tra la strada, la ferrovia e la parte più vecchia del centro abitato, ha impedito che continuasse ad essere una dimora signorile, a differenza di altre di ville più tarde che, magnificamente isolate nei loro parchi, hanno conservato il proprio rango patrizio.

Attualmente ospita appartamenti, uffici e la sede locale della Banca Popolare di Novara, mentre gli ambienti interni, dove non sono stati radicalmente ristrutturati, hanno conservato la struttura originale, ma appaiono più trascurati degli esterni.

Dietro l’edificio principale, in quella che un tempo era l’abitazione del fattore è stata allestita una Sala Manzoniana – visitabile su richiesta – che contiene vari cimeli e ricordi, oltre alla ricostruzione con gli arredi originali dello studio di Giulio Carcano, uomo politico, drammaturgo e traduttore di Shakespeare, amico e vicino di casa dei Manzoni, frequentatore abituale di villa Stampa.

Manzoni “villeggiò pià volte” nella villa del figliastro Stefano Stampa – pittore allievo di D’Azeglio e Hayez – a partire dal 1839 e vi rimase a lungo tra il 1848 e il 1850, in un periodo durante il quale avrebbe potuto essergli pericoloso rientrare a Milano sotto il governo asburgico.

Da Lesa si spingeva spesso fino a Stresa, per incontrare l’amico e maestro Rosmini e altri intellettuali che frequentavano l’anziano prete filosofo; questi colloqui sono riportati nelle “Stresiane” di Ruggero Bonghi.

Il suo passatempo preferito, secondo i testimoni dell’epoca, era di sedersi davanti alla porta di casa per osservare il traffico delle carrozze sulla strada; ma al periodo di “esilio” lesiano risalgono due opere minori, il discorso “Del romanzo storico” e il dialogo “Dell’invenzione”, il secondo in particolare interamente ideato e realizzato a Lesa, nonostante le preoccupazioni per problemi economici e familiati e la necessità di farsi mandare da Milano tutto il materiale di documentazione.

Tratto da:

“Percorsi, Storia e Documenti Artistici del Novarese

Antichi centri fra lago e collina – Volume 22″

Provincia di Novara 200

Questa villa è collocata al centro di un vasto parco, appena dopo la parrocchiale di San Martino, laddove incomincia il lungolago di Lesa. Per la sua posizione eminente gode di una notevole viata panoramica dalla punta di Belgirate alle rocce di Ispra e alle Prealpi retrostanti.

Essa risale al 1910 ed è stata progettata dall’ing. Adriano Cuneo, autore anche di Villa Alice e Villa Tassara, sempre a Lesa. Essa presenta una pianta non dissimile, almeno in parte, da quella della non lontana Villa Sourour, però più recente per il portico con sovrastante terrazza e per la massiccia torre d’angolo, la cui parte terminale venne aggiunta in un secondo tempo.

Una delle più vistose caratteristiche di questo edificio è data dalla presenza di elementi ornamentali di gusto neogotico, assai indicativi quella moda eclettica e di “revival” che tanto ha improntato le ville del lago appunto verso la fine dell’Ottocento.

Assai apprezzabile per il suo disegno squisitamente liberty è la cancellata d’ingresso in ferro battuto.

Fatta costruire dalla famiglia Tassara, dinastia di industriali siderurgici liguri, questa villa del 1899 si evidenzia tra il patrimonio importante delle ville di Lesa soprattutto per il parco che la circonda oltreché per il suo rapporto con il parco stesso. Sono fondamentali, in questo senso, i suoi valori ambientali e paesaggistici.

Sotto il profilo architettonico Villa Tassara, che è stata progettata dall’ing. Adriano Cuneo, presenta una pianta rettangolare con un volume a due piani. Più tarda è l’aggiunta di un’ala di un unico piano, coperta da un terrazzo, che si prolunga verso la parte del giardino a monte, in vista del piazzale della chiesa di San Martino.

Caratteristici dei primi anni del nostro secolo sono gli affreschi decorativi sotto il cornicione e in una fascia sotto i due piani, così come, del resto, i ferri battuti fra cuii, molto eleganti, quelli del parapetto della piccola terrazza al sommo del tetto.

All’interno della villa sono da segnalare gli stucchi e gli affreschi dei soffitti, di gusto liberty. Elegante è anche la sala delle Feste, situata nell’ala aggiunta.

Nel parco grandioso che dalla strada del Sempione  sale verso il nucleo antico di Lesa sono ubicati altri edifici come la portineria, le vecchie scuderie, ora sistemate ad abitazione, e una bella serra.