Secoli di storia racchiusi in un borgo unico.

Ritrovamenti archeologici d’epoca romana, rinvenuti in Lesa e dintorni, testimoniano la frequentazione antica del territorio e, probabilmente, l’origine del suo nome: Lexa. La mancanza di documentazione anteriore all’VIII secolo rende problematica l’evoluzione storica del territorio che confluì, in epoca franca, nella corte (curtis regia) di Lesa, comprendente i centri di Solcio e Villa Lesa.
Il progressivo frazionamento delle proprietà fondiarie nella zona è testimoniato da alcune carte (anni 998-1014), relative alle vertenze fondiarie che coinvolsero il vescovo di Tortona, Liutfredo, e che riguardano anche località del Lago Maggiore
I fondi in questione erano situati nei villaggi di Stresa, Baveno, Carciano, con il castello dell’Isola Madre (S. Vittore) e un castello «qui clamatur Lexa Leocarni» non altrimenti identificato, ma verosimilmente riferito al ”castellaccio” situato presso la sponda del lago e del quale rimangono solo i resti dei muri perimetrali.
Si delineano così, tra X e XI secolo, forme di potere basate sulla capacità di alcuni enti o personaggi di ritagliarsi una porzione di territorio, solitamente incastellata, e di costringere i sottomessi a prestazioni in forma di servizi o di tributi. Tra questi enti, maggior rilevanza acquista l’abbazia benedettina di Arona, con beni e diritti diffusi su un’ampia fascia costiera verbanese.
L’espansione del Comune di Milano, che faceva capo al suo arcivescovo, come vicario imperiale e ‘signore’, si realizzò a scapito del monastero aronese, incorporando le tre zone: castellanza di Meina, Lesa e Vergante, soggette alla giurisdizione milanese.
Assoggettata così la fascia costiera, la mensa arcivescovile provvide a riorganizzare amministrativamente la zona facendo di Lesa il capoluogo di un ambito territoriale, o giurisdizione, che, pur conservando una distinzione tra le tre originarie componenti, definiva il Vergante come territorio unitario. L’arcivescovo avrebbe poi riattato il castello di Lesa, trasformandolo in una postazione obbligata per il pagamento di un pedaggio.
La navigazione sul lago, con la costruzione del Naviglio grande, divenne un elemento di grande rilievo per l’espansione del Comune di Milano e dei suoi commerci. Il territorio di Lesa, comprendente Villa Lesa e Solcio, ricco e rinomato per i suoi vigneti e frutteti, ebbe nel suo porto e nel mercato (fino al 1312) gli strumenti qualificanti e preminenti per affermarsi come capoluogo del nuovo distretto, ormai identificato come Vergante.
Dopo la morte dell’arcivescovo Ottone Visconti (1295), il nipote, Matteo il Magno ottenne il vicariato imperiale dando avvio alla signoria del casato Visconti. La mensa arcivescovile conservò ancora una parte degli originali diritti, come si evince dalla regolamentazione, fatta dall’arcivescovo Giovanni Visconti nel 1348, del pedaggio di Lesa; dazio che durò fino all’abolizione napoleonica dei feudi. L’elenco delle merci che transitavano via lago è una eloquente spia delle attività artigianali locali e dell’economia che faceva riferimento a Milano. I diritti di pesca venivano appaltati a persone del luogo, come pure la riscossione dei pedaggi sulle merci in transito.
Un’altra fonte di notevole interesse è costituita dalle “Consignationes” dei beni e diritti di spettanza arcivescovile nelle località del Vergante, fatte in favore dell’arcivescovo Antonio da Saluzzo nel periodo 1379-1382. Il notaio Giorgio Carpano riceveva nel castello di Lesa i consoli e gli uomini delle varie località, i quali dichiaravano gli oneri e le prestazioni a cui erano tenuti. Lo stesso arcivescovo approvava nel 1389 gli Statuti di Lesa, Vergante e Castellanza di Meina.
Arona e la rocca, con gli annessi diritti e pertinenze pervennero nel 1439 al tesoriere generale del duca, Vitaliano Borromeo, col titolo comitale. Nel 1441 era la volta dei luoghi di Lesa, con tutto il Vergante, dove i Borromeo ripristinarono la figura e la funzione del pretore o podestà per l’amministrazione della giustizia; il quale risiedeva nel palazzo pretorio di Lesa, munito di sala per le adunanze e di prigioni, col “barigello” e alcune guardie.
Nel 1603, lo storico fra Paolo Morigia celebrava le lodi di Lesa: «Questo borgo è benissimo abitato, e ci stanziano molti nobili e ricchi mercanti; e oltre alla gran copia delle vigne dove si fanno vini così delicati, il suo territorio è altrettanto tutto fruttifero, ripieno di diversi tipi di frutti. Luoghi ameni, adatti all’uccellare e alle caccie».
Nel 1748, con il trattato di Aquisgrana che pose fine alla guerra di successione austriaca, Carlo Emanuele III di Savoia ottenne, da Maria Teresa d’Austria, l’alto novarese, inclusa Lesa, che divenne parte del Regno di Sardegna. Alla fine del XVIII secolo, la Comunità del Vergante si dissolse sotto l’incalzare delle armate napoleoniche e del nuovo ordine europeo. Nel breve periodo napoleonico (1797 – 1815) Lesa fu inclusa dapprima nella Repubblica Cisalpina e poi nel Dipartimento dell’Agogna facente parte della Repubblica Italiana diventata, nel 1805, Regno d’Italia. Con la caduta di Napoleone, nel 1815, Lesa tornò al Regno di Sardegna e, successivamente, nel 1861, divenne parte del Regno d’Italia.
Nello spirituale, la chiesa romanica di S. Martino di Lesa, compresa nel territorio della pieve di Gozzano, aveva due, e poi tre parroci porzionari per i tre centri: Lesa, Villa Lesa e Solcio, che originarono nel tempo tre distinte parrocchie.
Della chiesa di S. Martino, nel 1710, lo storico Gio. Giuseppe Vagliano riferiva: «La chiesa parrocchiale è tanto nobilmente fabbricata con ordine dorico, che può servire di chiesa maggiore a qualsivoglia città. Vi si godono sempre esposti tanti quadri dei più rinomati pittori moderni, che formano fregi di continuo festoso apparato». La chiesa di Villa Lesa conserva una pregevole Crocifissione del XVI sec., affrescata da Giovanni Maria de Rumo. Di particolare suggestione l’isolata chiesetta di S. Sebastiano di struttura romanica.
A Lesa dimorava un rampollo della famiglia Borromeo, Damiano, come testimonia lo stemma araldico affrescato sul palazzo che pervenne alla famiglia novarese Cacciapiatti, imparentata con gli Stampa. Francesco Stampa, verso il 1787 ampliò la villa estendendola poi verso il lago con due ali tagliate dall’apertura della strada del Sempione nel 1805.
Alla morte del marito, Decio Stefano Stampa, la villa viene ereditata dal figlio Stefano e dalla moglie Teresa Borri che diventa, nel 1837, la seconda moglie di Alessandro Manzoni. Il grande scrittore trascorse, qui a Lesa, lunghi soggiorni tra il 1839 e il 1857, in particolare il “forzato esilio” dal maggio 1848 al settembre 1850, in seguito all’arresto del figlio Filippo, dopo le Cinque Giornate, e alla pubblicazione dell’ode “Marzo 1821” che avevano messo a rischio la sua permanenza a Milano. Un locale retrostante la villa ospita la Sala Manzoniana, con documentazione letteraria e storica risorgimentale. Essa rende testimonianza dell’importante ruolo svolto da Lesa nella prima metà dell’Ottocento.
I rapporti e la frequentazione del Manzoni col Rosmini costituiscono il momento di maggior rilievo di questa sponda del Verbano, luogo d’incontro di intellettuali lombardi e piemontesi impegnati nella difficile impresa del Risorgimento. Tra di essi personalità quali Pietro Borsieri e i Cairoli a Belgirate, Giacinto Provana di Collegno a Baveno, gli Arconati a Pallanza, Massimo D’Azeglio a Cannero, Giulio Carcano a Lesa, Cesare Correnti a Solcio.
I soggiorni lesiani di Alessandro Manzoni, favorirono la costruzione di pregevoli ville con personaggi di rilievo, come il letterato e patriota Giulio Carcano (1812 – 1884), che qui morì e volle essere sepolto. Il suo amico e parlamentare Cesare Correnti (1815-1888) si spense nella villa di Solcio, a poca distanza dalla prestigiosa residenza del senatore Gaspare Cavallini (1817-1903). Nella frazione Villa, invece, costruirono le loro residenze il parlamentare Francesco Guglianetti (1818 – 1872) e il senatore Francesco Conelli De Prosperi (1801 – 1877). Dopo di loro altri importanti personaggi hanno scelto Lesa come residenza estiva.
Ma già nel Settecento lo storico Vagliano ricordava altri edifici di facoltose famiglie: «Questo borgo risplende tra i fregi di molti palagi di continuo abitati da nobili, che formano vaga scena con nobili prospetti».
Il torrente Erno, che nel medioevo alimentava alcuni mulini, nel corso dell’Ottocento azionò alcuni importanti opifici: «Diversi industrali stabilimenti di cotone dei signori Vanzina e ad un vasto opificio di lane della ditta Sala, Gastaldetti & C», il cotonificio Alliata e la cartiera Diana.
In tempi più recenti si afferma la rinomata ditta Herno: «Da quel cotone del 1948, trattato con olio di ricino degli aerei dismessi dalla guerra, un giovane Giuseppe Marenzi e sua moglie Alessandra Diana intuiscono la possibilità di farne un’attività». Nel 1968 Herno era già conosciuta in Giappone e, poco dopo, negli USA.